Brasile

In preparazione a un viaggio di lavoro in Brasile convinsi il mio capo che fare una lampada abbronzante prima di partire fosse una necessità.  La misi poi in conto spese. La moda di strada brasiliana di fine anni ’80 e inizio ’90 era stretta, corta e succinta. Dovevi esporre molta pelle, se volevi integrarti, e una pelle pallida e invernale spiccava come un occhio nero. Se volevo girare per la favela senza dare nell’occhio essere abbronzata era un must. Non avrei mai potuto nascondere il mio essere straniera ma volevo dare l’impressione di appartenere al luogo. Fu la prima e ultima volta che indossai dei pantaloncini corti. Nessuno dei camuffamenti che provai a mettere insieme riuscì mai a ingannare i brasiliani. Raimundo Pereira de Oliveira, ai tempi il mio fidanzato, e la mia famiglia brasiliana, i Dos Santos, provarono tutti a insegnarmi a ballare. L’esito dei loro tentativi risultò opinabile. Il mio amico, Tarzan Leão de Sousa, mi trovò nella favela chiedendo agli abitanti dove vivesse “la bionda”.

Per oltre un anno vissi appena oltre la cima della collina dietro di me in questa foto. Era nel centro di Alto Vera Cruz – una favela di Belo Horizonte, la capitale dello stato di Minas Gerais. Fu, in molti sensi, il miglior anno della mia vita. I miei occhi si aprirono, incontrai persone straordinarie e assistetti al coraggio, all’audacia e alla persistenza necessaria per lottare contro la povertà estrema. Imparai anche come divertirmi. I brasiliani non ti salutano con un “come va?” Ma tudo joía? – che vuol dire letteralmente “tutto felice?”. E comprai un cane. Washington, il giovane ragazzo di fianco a me nella foto, avrebbe ereditato Naja da me quando alla fine della mia esperienza brasiliana avrei lasciato il Brasile ma questa è un’altra storia. Ogni tanto scappavo a Rio de Janeiro per stare con degli amici. La loro casa era innestata sul versante al di sotto della favela di Vidigal, arroccata appena sopra la spiaggia privata dello Sheraton. Ad Alto Vera Cruz passavo i giorni intervistando madri che avevano partorito l’anno prima. Alcune erano nullatenenti e affamate, altre avevano perduto i loro bambini durante il primo anno per colpa di malattie, altre riuscivano a vivere decentemente seppur con un reddito minimo, tenendo la casa ordinata, ammantata di vasetti d’alluminio levigato e pavimenti spazzati.

A Rio mi rilassavo sulla terrazza con la sua splendida vista sul mare concedendomi serate in ristoranti italiani, al cinema, presso la località balneare di Búzios assieme a Anne De Lannoy e John Arden che mi diedero una seconda casa. La discordanza, tuttavia, tra le due vite era profondamente disorientante.